Stabile organizzazione materiale, la suprema Corte mette il punto
La contribuente estero-residente, che dispone in Italia di un immobile (una casa-famiglia) in cui esercita attività psicopedagogica per il recupero e l’istruzione di minori disagiati stranieri e che è dipendente di un’associazione straniera che svolge la stessa attività assistenziale, deve assoggettare a tassazione in Italia i corrispettivi a lei erogati dall’associazione.
Tale attività rientra, infatti, tra quelle indipendenti di natura educativa e pedagogica tassate nel nostro Paese sulla base della Convezione Italia – Germania, ben potendo ritenersi equiparabile il concetto di “base fissa”, dettato dall’articolo 14 della Convenzione, a quello di stabile organizzazione, previsto dall’articolo 5 della stessa Convenzione, secondo quanto indicato nel Commentario Ocse. Lo ha affermato la Cassazione nella sentenza n. 2116 del 22 gennaio 2024.
I fatti
Con avviso d’accertamento per Irpef, Iva e Irap 2006, l’Agenzia delle entrate ha recuperato a tassazione il compenso di circa 75mila euro corrisposto alla dipendente di un’associazione tedesca per l’attività, svolta in Italia, di cura e di assistenza dei minori con problemi comportamentali.
La signora ha proposto ricorso, lamentando la violazione degli accordi internazionali con la Germania in materia di doppia imposizione fiscale ed evidenziando la natura assistenziale e senza fini di lucro dell’attività svolta. Dalle informazioni fornite nella risposta al questionario, l’ufficio ha ritenuto che la contribuente, disponendo da tempo di un immobile destinato a luogo di attività lavorativa nel nostro Paese, vi svolgesse un’attività economica in forma stabile e come tale soggetta a imposizione.
Inoltre, dalla comunicazione ricevuta dal Fisco tedesco nell’ambito dello scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie, era emerso che la donna non aveva dichiarato in Germania i compensi percepiti per l’attività assistenziale svolta in Italia, né aveva pagato le relative imposte. Nei gradi di merito, il giudizio ha avuto esito altalenante.
Il Collegio di primo grado ha rigettato il ricorso, reputando legittimo applicare alla fattispecie gli articoli 4, 5, 7 e 14 della Convenzione Italia – Germania contro le doppie imposizioni, ratificata con legge n. 459/1992, poiché la contribuente aveva, da tempo, una stabile struttura lavorativa in Italia.
Il giudice d’appello, invece, ha accolto l’appello della donna, sulla base di molteplici circostanze e cioè:
- la cittadinanza e la residenza in Germania nell’anno 2006, periodo cui si riferisce l’avviso d’accertamento
- il soggiorno presso un’abitazione situata in una città italiana, che costituiva una sorta di vacanza terapeutica finalizzata al recupero di bambini a lei affidati dalle famiglie tedesche in collaborazione con l’associazione senza scopo di lucro, e che rappresentava solo un’appendice dell’attività di recupero dei minori svolta in modo prevalente in Germania
- la documentazione prodotta dalla contribuente in primo grado, a conferma che i compensi percepiti erano stati dichiarati in Germania assieme agli altri redditi.
Il giudice di secondo grado, inoltre, ha ritenuto, da un lato, che per l’eventuale parte di reddito occultato, sarebbe stato compito dell’Agenzia fiscale tedesca rilevarne l’evasione, poiché la donna, nel 2006, era soggetta a tassazione in Germania essendo ivi residente; dall’altro, ha rilevato che il Fisco italiano non aveva fornito alcuna prova della stabile organizzazione proprio nella città italiana dove era situata l’abitazione, e neppure aveva allegato, all’avviso d’accertamento, i documenti relativi allo scambio di informazioni, rimasti del tutto ignoti e non comunicati alla contribuente.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando plurime violazioni di legge poiché la sentenza d’appello:
- aveva erroneamente rilevato che l’Agenzia non aveva provato la sussistenza in Italia di una stabile organizzazione facente capo alla contribuente, invece, incontrovertibile sulla base delle stesse indicazioni rese dalla stessa parte e dall’autorità fiscale tedesca, e neppure aveva allegato le comunicazioni ricevute dall’autorità tedesca all’avviso di accertamento
- non aveva indicato i motivi che l’avevano portata a escludere la presenza di una stabile organizzazione.
La Corte ha accolto il ricorso e affermato che “la pretesa nei confronti di soggetti residenti all’estero, circostanza nella specie non in contestazione, dipende dalla sussistenza sul territorio nazionale di una stabile organizzazione, nozione descritta come noto dall’art. 162, TUIR…Tale norma individua come ‘stabile organizzazione’ una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato” (cfr Cassazione, sentenza n. 2116/2024).
Osservazioni
I giudici di piazza Cavour sono stati chiamati a stabilire se una cittadina tedesca, residente nell’anno d’imposta del controllo in uno Stato estero, possa essere assoggettata a tassazione in Italia per i redditi ivi prodotti, sempre che il Fisco italiano abbia dimostrato l’esistenza di una stabile organizzazione nel Belpaese, facendo valere la pretesa fiscale anche sulla base di notizie assunte dall’autorità fiscale tedesca.
La Cassazione ha affermato che la pretesa fiscale, fatta valere nei confronti di soggetti residenti all’estero, dipende dalla sussistenza sul territorio nazionale di una stabile organizzazione, come individuata dall’articolo 162 TUIR e dal Commentario al Modello di Convenzioni OCSE. In particolare, la Corte ha chiarito che:
- “la stabile organizzazione … non si distingue giuridicamente dall’impresa madre, ma anzi è ad essa riconducibile”
- la sua struttura “non deve necessariamente essere dotata di autonomia gestionale o contabile, requisiti che invece hanno le succursali o sedi secondarie previste dall’art. 2506 cod. civ., le quali costituiscono solo una species tipica di stabile organizzazione (cfr. Cass. 7682/2002)”
- può consistere in ogni tipo di edificio, struttura o istallazione utilizzati, anche non in forma esclusiva, per lo svolgimento dell’attività d’impresa compresa anche solo la presenza di un locale, un’area o uno spazio all’interno di un immobile, nella disponibilità del titolare
- deve avere dei requisiti oggettivi (un luogo fisico “fisso e stabile”), soggettivi (e cioè la disponibilità da parte dell’impresa estera e la sua permanenza) e funzionali (e cioè deve essere utilizzata per esercitare in tutto o in parte l’attività dell’impresa non residente per una specifica funzione, una specifica attività o proprio l’attività svolta dalla “casa madre”, a prescindere dal titolo giuridico in base al quale venga utilizzata dall’impresa estera, e deve essere idonea a produrre autonomamente un reddito – cfr. al riguardo, le “esemplificazioni negative” nel modello Ocse e nell’articolo 162 del Tuir, pienamente recepite peraltro dalla giurisprudenza di legittimità – Cassazione, nn. 30033/2018, 31609/2019, 21693/2020 e 1709/2023).
Sulla base del quadro normativo delineato, per le imposte dirette, la Cassazione ha affermato che “una stabile organizzazione materiale… è costituita da una sede d’affari in Italia di un’azienda estera”.
Per le imposte indirette, pure oggetto della controversia, la Corte ha richiamato l’accezione di stabile organizzazione quale “centro di attività stabile” (articolo 7, Dpr n. 633/1972 e articolo 9, paragrafo 1, direttiva n. 77/388) con “un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi considerate” (Corte di giustizia Ue, causa C-190/95).
Nel caso in esame, la Corte ha posto in evidenza che il concetto di “base fissa” (ex articolo 14 della Convenzione) era equiparabile a quello di stabile organizzazione (ex articolo 5 della stessa Convenzione), secondo quanto indicato nel Commentario Ocse, recepito, nel nostro ordinamento dall’articolo 162 Tuir.
Di conseguenza, sulla base (anche) delle disposizioni della Convezione, la Cassazione ha concluso, che il giudice di secondo grado aveva erroneamente ritenuto non imponibili i compensi percepiti dalla contribuente, poiché aveva trascurato gli elementi attestanti la presenza della stabile organizzazione e, in particolare, la stabilità e permanenza della sede, dimostrata dall’esistenza della struttura incardinata nel territorio (casa – famiglia gestita in un immobile sito in Italia in cui esercitava attività psicopedagogica e per tale attività indipendente di natura educativa e pedagogica da plurimi anni), e la potenzialità di reddito, derivante anche dai compensi versati dall’associazione tedesca per l’attività svolta dalla dipendente nel Belpaese.
Infine, i giudici di legittimità hanno precisato che il contenuto delle informazioni scambiate tra le Amministrazioni fiscali, come riportava l’avviso di accertamento, era stato comunicato alla contribuente già con il questionario, cui la stessa aveva risposto senza alcuna contestazione e (anzi) dando atto dei corrispettivi indicati e trasmessi dal Fisco tedesco a quello italiano.