La divisione con “conguaglio” per il Registro è una vendita
La previsione contenuta nell’articolo 34 del Dpr n. 131/1986, ai sensi del quale la divisione con cui a un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo superiore a quello a lui spettante sulla massa comune è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente, appare sancire una vera e propria “presunzione assoluta” ai fini dell’imposta di registro, in virtù della quale siffatta divisione deve essere qualificata come vendita e assoggettata all’imposta sui trasferimenti per l’eccedenza di valore, prescindendo dall’eventualità che nei rapporti tra i condividenti sia o meno corrisposto un conguaglio.
Questo il principio di diritto affermato nella sentenza della Corte di cassazione n. 31364 dello scorso 10 novembre.
La vicenda processuale
Un contribuente impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma l’avviso di liquidazione con il quale l’ufficio aveva recuperato a tassazione la somma di 35mila euro relativa all’omessa autoliquidazione di un conguaglio divisionale pari a oltre 327mila euro.
La pronuncia di prime cure, che aveva respinto il ricorso, veniva appellata dinanzi al collegio regionale del Lazio il quale, con sentenza n. 6212/10/2015 del 25 novembre 2015, confermava il verdetto sfavorevole alla parte privata.
Quest’ultima proponeva ricorso per cassazione ove, per quanto di più specifico interesse in questa sede, eccepiva che la sentenza del giudice di prossimità aveva calcolato l’imposta basandosi sull’articolo 52 del Dpr n. 131/1986 (Testo unico dell’imposta di registro, di seguito anche soltanto “Tur”), senza considerare che nell’avviso di liquidazione si faceva invece riferimento alla determinazione dell’imposta e delle sanzioni ai sensi dell’articolo 34 del medesimo Tur. In relazione a detta seconda norma, il ricorrente asseriva che l’avviso impugnato non aveva indicato parametri idonei a chiarire se il conguaglio superava la soglia, pari al 5% della quota di diritto del condividente, prevista per procedere alla relativa tassazione.
La pronuncia della Corte
Il giudice di nomofilachìa ha disatteso l’illustrato motivo di gravame, richiamando il disposto dell’articolo 34 del Dpr n. 131/1986, secondo cui la divisione con la quale a un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune “è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente” e i conguagli superiori al 5% del valore della quota di diritto “sono soggetti all’imposta con l’aliquota stabilita per i trasferimenti mobiliari fino a concorrenza del valore complessivo dei beni mobili e dei crediti compresi nella quota e con l’aliquota stabilita per i trasferimenti immobiliari per l’eccedenza”.
In particolare, precisa il Collegio d legittimità, la formulazione della citata disposizione “come si desume, in particolare, dall’utilizzo dell’inciso «(…) è considerata vendita» – appare sancire una vera e propria “presunzione assoluta” ai fini dell’imposta di registro, in virtù della quale la divisione, con assegnazione di beni eccedenti il valore della quota sulla massa comune, deve essere sempre qualificata come vendita ed assoggettata all’imposta sui trasferimenti per la sola eccedenza di valore, prescindendo dall’eventualità che il conguaglio sia o meno corrisposto nei rapporti tra i condividenti”.
Per la Cassazione, quindi, il legislatore tributario “si è preoccupato di esigere, in ogni caso, l’applicazione dell’imposta sui trasferimenti nei limiti dell’eccedenza di valore, ritenendo irrilevante che il conguaglio (inteso come surplus aritmetico del valore dei beni rispetto al valore della quota) abbia formato oggetto dell’assunzione di un’obbligazione pecuniaria con funzione compensativa ovvero della disposizione di una liberalità indiretta nei rapporti tra i condividenti”.
Osservazioni
Secondo quanto chiarito nella circolare n. 18/E del 2013, la divisione, ovvero il contratto con cui i contitolari di un diritto esistente su un determinato bene sciolgono lo stato di comunione esistente tra di essi, ha natura “dichiarativa” (Cassazione, n. 20645/2005, più di recente, Cassazione, n. 27693/2020), dal momento che attraverso di essa i condividenti si limitano a trasformare l’oggetto del diritto di ciascuno da diritto sulla quota ideale a diritto su un bene determinato, senza che intervenga, tra loro, alcun atto di cessione o di alienazione.
In questa ipotesi, spiega il documento di prassi, si configura una divisione “senza conguaglio”, perché nell’atto vengono assegnati ai condividenti beni per un valore complessivo corrispondente al valore della quota agli stessi spettante sulla massa comune e l’atto rientra tra gli “Atti di natura dichiarativa …” previsti dall’articolo 3 della Tariffa, parte prima, allegata al Tur, con tassazione pari all’1% del valore della massa comune (quest’ultima, in base all’articolo 34, comma 1, del Tur, è costituita nelle comunioni ereditarie “dal valore, riferito alla data della divisione, dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione”, e nelle altre comunioni “dai beni risultanti da precedente atto che abbia scontato l’imposta propria dei trasferimenti”).
Di contro, prosegue la stessa circolare, si verifica un’ipotesi di divisione “con conguaglio” quando a un condividente vengono assegnati beni per un valore complessivo superiore a quello che gli spetterebbe sulla massa comune, ipotesi che ai sensi dell’articolo 34, comma 1, primo periodo, del Tur, “è considerata vendita per la parte eccedente”: in questo caso, il conguaglio, vale a dire la divergenza quantitativa (purché superiore al cinque 5%) tra quota di fatto e quota di diritto, “è soggetto all’imposta proporzionale dovuta per gli atti traslativi indipendentemente dal suo concreto versamento”.
L’illustrata bipartizione delle fattispecie divisionali è stata condivisa anche dalla giurisprudenza che ha costantemente affermato la regula iuris secondo cui l’articolo 34 del Tur sancisce una presunzione assoluta in virtù della quale, ai fini dell’imposta di registro, la divisione con assegnazione di beni eccedenti il valore della quota sulla massa comune “deve essere sempre qualificata come vendita ed assoggettata all’imposta sui trasferimenti per la sola eccedenza di valore, prescindendo dall’eventualità che il conguaglio sia o meno corrisposto nei rapporti tra i condividenti” (Cassazione, n. 6142/2023).
Negli stessi termini, la pronuncia n. 30459/2022 della Cassazione, ha specificato che, a fronte della riferita presunzione, non rileva la circostanza che il condividente che ha ottenuto una quota di fatto maggiore rispetto a quella di diritto abbia assunto o meno un’obbligazione pecuniaria, in favore degli altri condividenti, di ammontare corrispondente con funzione compensativa, “atteso che la mutevole funzione delle pattuizioni intercorse al riguardo tra i condividenti è neutralizzata dalla predeterminazione normativa dell’unicità di trattamento tributario”.
In precedenza, la Cassazione, con la decisione n. 27409/2020, aveva concluso che l’articolo 34 del Tur pone una presunzione assoluta, in forza della quale l’eccedenza di valore dei beni assegnati rispetto alla quota sulla massa comune (“conguaglio”) è invariabilmente sottoposta al trattamento tributario della compravendita e che “il legislatore ha voluto sottoporre la fattispecie in esame ad un trattamento fiscale specifico, indipendentemente dalla volontà delle parti (cioè dal fatto che l’assegnazione ad un condividente di una quota maggiore rispetto a quella a lui spettante comporti per l’interessato il pagamento di un corrispettivo o meno)”. Per completezza, si vedano anche Cassazione, n. 16220/2021, n. 34487/2021, n. 2378/2022 e n. 11836/2022.